In pochi sanno che a Padriciano,
sul Carso triestino, oltre al campo profughi degli italiani
scappati dal regime di Tito, c'era un altro campo, allestito
durante gli anni della Guerra fredda, destinato a ospitare le
persone che fuggivano dai Paesi stretti nella morsa del blocco
sovietico. Trieste era la prima tappa del mondo occidentale,
trampolino per raggiungere altre mete come Stati Uniti e Canada,
passando per Latina. Questa realtà, sconosciuta anche ai locali,
è diventata un lavoro teatrale.
Oggi quel centro è irriconoscibile, soltanto alcuni piccoli
edifici sono rimasti in piedi, inglobati in una area di ricerca.
Recintato, il campo era organizzato come una piccola città, con
ospedale, cinema, chiesa e campo di calcio. La struttura rimase
aperta dal 1964 al 1980 e vi passarono non solo disgraziati
fuggiti dall'Ungheria, dalla Cecoslovacchia, ma anche
intellettuali e figure particolari. Un giorno un aviatore
disertore pilotando un Mig venne a consegnarsi all'aeroporto di
Campoformido (Udine) e fu portato a Padriciano. Anche la madre
di Joe Bastianich vi soggiornò. Erano anni molto difficili, così
gli jugoslavi inviarono finti profughi richiedenti asilo perché
spiassero.
Il campo fu utilizzato 40 anni fa per ospitare i 'boat
people', vietnamiti che fuggivano a bordo di barchini. Uno dei
tanti governi Andreotti inviò tre navi della Marina Militare per
salvare 907 profughi, una parte dei quali fu ospitata sul Carso.
L'opera teatrale, 'Tempo d'attesa' (produzione Contrada
realizzata con il sostegno della Regione Fvg; testo di Pietro
Spirito e Elke Burul per la regia di Elke Burul che figura
anche tra gli attori), che andrà in scena il 1 agosto al
Castello di San Giusto (Trieste) è la storia inventata di
Krystof Paklic, fotografo cecoslovacco che arriva a Padriciano.
Nei boschi per arrivare a Trieste, però, perde la compagna,
Jana.
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