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Mario Sironi, l'arte come religione di una vita

Mario Sironi, l'arte come religione di una vita

Oltre 70 opere in mostra a Villa Bassi Rathgeb ad Abano Terme

PADOVA, 26 settembre 2022, 16:55

di Roberto Nardi

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Mario Sironi, l 'arte come religione di una vita - RIPRODUZIONE RISERVATA

Mario Sironi, l 'arte come religione di una vita - RIPRODUZIONE RISERVATA
Mario Sironi, l 'arte come religione di una vita - RIPRODUZIONE RISERVATA

PADOVA - L'arte non come scelta dettata da una "infatuazione giovanile", ma segno di "amore sincero profondo" verso quella che Mario Sironi, appena diciottenne, dice essere la "sola religione della mia vita: adoro il bello che mi offre l'arte e la natura, non credo ad altro". Lo scrive nel 1903 in una lettera al cugino Torquato. E' l'anno in cui si manifestano i segni di una depressione che lo accompagnerà, tra alti e bassi, per tutta la vita; è l'anno dell'abbandono degli studi di ingegneria, intrapresi nel 1902 - come scrive in catalogo Francesca Brandes - "seguendo la tradizione paterna".
    Che l'arte fosse nel destino di uno dei più importanti artisti italiani del '900 lo testimonia un piccolo paesaggio dai colori accesi del 1899-1900, dipinto quanto era appena quindicenne, che apre idealmente la mostra "Mario Sironi. Un racconto dal grande collezionismo italiano", in programma fino all'8 gennaio prossimo, nelle sale del Museo Villa Bassi Rathgeb, ad Abano Terme (Padova).
    "Il nostro desiderio - rileva Chiara Marangoni, curatrice assieme ad Alan Serri - è raccontare l'uomo, il suo impegno sociale, la sua sagacia critica, la sua perspicacia nella satira politica".
    Tra dipinti, bozzetti, disegni e manifesti, scorre la vita, la carriera, di "un grande illustratore e un grande pittore", che ha avuto grandi riconoscimenti e periodi difficili, che ha attraversato illusioni politico-sociali ed è stato segnato da drammi familiari, come il suicidio della figlia più piccola nel 1948. E' la testimonianza anche di un artista che ha dovuto fare i conti, specie sul piano della critica in tempi post-bellici, con la sua adesione al fascismo, all'insegna da una parte di un credo in Mussolini - "culto della personalità, impeto sentimentale oltre che ideologico", rileva Francesca Brandes - e dall'altra di uno sguardo artistico centrato sul sociale. Una fede politica che, alla fine della guerra, porta Sironi a rischiare di essere fucilato, dopo essere stato fermato da una brigata partigiana vicino a Como. Si salva perché viene riconosciuto da Gianni Rodari che gli firma un lasciapassare.
    L'esposizione, attraverso una settantina di opere provenienti da collezioni private, presenta il percorso di un uomo che abbraccia l'arte e che si avvicina al Futurismo, in una visione pittorica che privilegia il volume, la forma, più che il dinamismo; di un artista che sviluppa velocemente un altro cammino e, tra paesaggi urbani e figure, è portatore di un linguaggio proprio riconoscibile, tanto da essere apprezzato dalle stesso Picasso nel 1937.
    La mostra, voluta dall'amministrazione comunale, in collaborazione con Galleria 56, conduce il visitatore fino all'ultimo Sironi, quello degli anni '50, con una serie di esperienze pittoriche - segno di quel lirismo, di quella "poesia disperata, come di chi ha attraversato l'inferno e visto cadere ogni ideale", a dirla con le parole dell'assessore alla cultura Michela Allocca - che con felice sintesi vengono racchiuse nella sezione intitolata "gli anni della solitudine".
    L'artista muore il 13 agosto 1961 in una clinica a Milano in seguito a una broncopolmonite. 
   

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