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La Sicilia in mostra tra parole e immagini

Guttuso, Marchesi e diari dall'Archivio Santo Stefano a Taobuk

Mauretta Capuano TAORMINA

TAORMINA - Un doppio viaggio, pittorico e narrativo, per raccontare la Sicilia tra Ottocento e Novecento. Ce lo fa compiere 'Questa è la certezza del cuore. La Sicilia nello sguardo degli artisti e dei suoi figli', la grande mostra della nona edizione di Taobuk, il festival internazionale del libro di Taormina ideato e diretto da Antonella Ferrara che si apre il 21 giugno. Il paesaggio siciliano e la vita delle persone vengono raccontati attraverso i diari dell'Archivio di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, e attraverso i dipinti di artisti che fanno parte delle collezioni della Fondazione Sicilia. Ci sono la natura e gli esseri umani, i paesaggi di Antonino Leto, le sagrestie di Salvatore Marchesi, le visioni di Renato Guttuso, gli scorci agresti di Francesco Lojacono, le vedute di Francesco Zerilli e i cortei in nero di Pippo Rizzo.

Figure femminili curve sui campi e preti nascosti dietro un confessionale, alberi verdissimi e bambini, strade impolverate e fontane barocche. La Sicilia di questi pittori a cavallo tra Otto e Novecento restituisce la sua forza visiva nei colori e nelle forme che passano dal realismo all'indefinitezza che prelude all'astratto. L'esposizione, organizzata in collaborazione con Fondazione Sicilia e Parco Archeologico Naxos Taormina, a cura di Roberto Scorranese, si inaugura a Palazzo Ciampoli il 22 giugno e si potrà visitare fino al 15 luglio.

La duplice prospettiva dello sguardo e delle parole racconta insieme al paesaggio siciliano l'umanità di questo microcosmo mediterraneo con accostamenti coraggiosi e romanzeschi. La frase 'Questa è la certezza del cuore' è tratta proprio dal diario di un siciliano, Castrenze Chimento, nato nel 1935, il quale, a 73 anni, si è iscritto alla scuola media per "imparare a scrivere meglio" e poter raccontare il periodo più travagliato delle sua esistenza. "Come bene ricordo non abbiamo mangiato pasta e pane per più di un mese, e tre volti il giorno mangiavamo fave con latte e ricotta. Allora, abbiamo fatto seccare il primo frumento e lo abbiamo fatto macinare al mulino, così abbiamo mangiato il pane! Come era bello, gustoso e dolce! Quando pascolavo le mucche e avevo sete, prendevo la bustina militare, con la quale mi coprivo il capo, la levo alla cintura del pantaloncino e la mettevo nel pozzo per impregnarsi d'acqua poi la trizzavo con le mani e mi dissetavo. Queste erano le mie pene di ogni giorno. Camminavo scalzo sotto il sole e la terra calda bruciava la pelle dei miei piedi. Quanti volte ho sofferto perché ero punto dalle spine e il sangue faceva la crosta sui piedi! Quante volte dovevo correre e inciampare sulle pietre! Quanto, quanto dolore, quanta disperazione e quante lacrime!" racconta con evidenti errori grammaticali Castrenze che fa il pastore sullo sfondo di una Sicilia arcaica. Partendo dalle testimonianze, scelte tra quelle siciliane presenti nell'Archivio di Pieve Santo Stefano - una grande casa della memoria che da 35 anni raccoglie, seleziona, cataloga e premia i diari di uomini e donne colti e semi-analfabeti, giovani o anziani - vengono incrociate ai dipinti le testimonianze che si trovano nei diari per la maggior parte di emigranti. Come nel caso di Calogero di Leo, nato a Lucca Sicula, nell'entroterra agrigentino, ed emigrato in America le cui parole vengono affiancate a una tela di fine Ottocento che raffigura la marina di Palermo.

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