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Giornata mondiale della gentilezza, se un fiore fa la differenza

Una piccola paziente e il suo medico, 'un gesto scolpito nel cuore dopo 35 anni'

Redazione ANSA ROMA

Solo le persone gentili sono veramente forti, diceva James Dean. E ad esserne convinti sono in molti, tanto da promuovere un vero e proprio movimento che ha lanciato la Giornata mondiale della gentilezza, che si celebra il 13 novembre.
    A promuovere la Giornata è il World Kindness Movement, nato a Tokyo nel 1988. Oggi sono una trentina i Paesi che aderiscono. Il movimento italiano - che dal 2000 ha sede a Parma - ha deciso di utilizzare la frase di Claudio Baglioni, "La gentilezza è rivoluzionaria". E tante sono le iniziative per questa giornata dedicata alla gentilezza. Negli spazi del Policlinico di Milano, ad esempio, i pazienti e i visitatori riceveranno un fiore: un gesto simbolico per dare più forza alla Giornata Mondiale. L'iniziativa vuole richiamare l'attenzione sui gesti semplici dell'attenzione per l'altro, che rischiano spesso di essere dati per scontati e che invece non devono mai essere dimenticati.

   Per il 2018 il Policlinico ha anche avviato un progetto dedicato alle relazioni umane, con l'obiettivo di affrontare in maniera sistematica e completa il tema dei rapporti tra le persone in ambito ospedaliero, della conflittualità e della violenza che può venirsi a creare tra operatori e pazienti. La giornata è anche un'occasione per cominciare ad accendere i riflettori su questo tema.
    E quanto la gentilezza sia importante, soprattutto in ambito ospedaliero, lo racconta una paziente, che ricorda la sua storia di bambina colpita da una grave malattia per la quale un piccolo gesto gentile del proprio medico, un fiore disegnatole addosso, ha fatto la differenza.

   Trentacinque anni, racconta Carla (nome di fantasia), "trentacinque anni di vita. Ogni giorno, almeno una volta al giorno, mi soffermo un attimo a pensare a questo dono. Ancora oggi, ogni giorno, per un momento penso alla persona, allo sconosciuto, senza il quale oggi probabilmente non sarei qui. Subire un trapianto di reni, a poco più di sei anni di età, è una cosa che ti segna per tutta la vita. Che ti porta a guardare la vita con occhi diversi. Ti senti di non avere qualcosa e allo stesso tempo ti sembra di avere qualcosa più degli altri. Tutto è iniziato con un fiore. Mi sono risvegliata e sulla pancia, intorno all'ombelico, il medico aveva disegnato una margherita.

   Quando l'ho vista ho sorriso, perché ho capito che era andato tutto bene. Anche se ero solo una bambina, capivo perfettamente quello che mi stava succedendo. Gli adulti non sono poi così bravi come credono a nascondere le cose e a mostrarsi disinvolti. Sapevo che senza quell'intervento, che senza quel dono ... La margherita e il sorriso del medico e dei miei genitori, quando mi sono risvegliata, mi hanno fatto capire tutto, più di mille discorsi. "Devi prenderti cura di questo fiore - mi disse il dottore - perché è delicato e ha bisogno di molte attenzioni." Il rene nuovo è come un fiore "travasato", che deve essere accudito con cura. E' stato proprio così.

   Soprattutto all'inizio, quando venivo ai controlli ogni mese. Oggi fa una certa impressione rivedere lo stesso medico che mi cura da più di trent'anni. Aveva i capelli neri, nerissimi e mi sembrava altissimo. Adesso ha un'aria un po' stanca. Ma il sorriso è ancora uguale a trentacinque anni fa. Nel corso di tutti questi anni, di interventi come il mio ne ha fatti moltissimi. Ha dato un'altra possibilità a molte vite, a molte persone. Eppure non mi ha mai fatta sentire una delle tante.
    La margherita con il tempo è svanita. Ma il medico mi dice che ancora oggi la disegna sul pancino delle bambine che opera.
   

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