Nuove possibilità di cura per i malati affetti da demenza frontotemporale. Uno studio italiano, presentato in questi giorni ad Oslo al Congresso della European Accademy of Neurology, promette di rallentare la progressione della malattia migliorando alcune funzioni cognitive e comportamentali dei pazienti. La demenza frontotemporale è la seconda causa di demenza dopo la malattia di Alzheimer prima dei 65 anni. E'una patologia neurodegenerativa che colpisce molte persone ma che al momento resta ancora senza una cura definitiva.
"La demenza frontotemporale ha caratteristiche diverse dalla malattia di Alzheimer nonostante spesso vengano confuse con la conseguenza di diagnosi tardive e trattamenti non idonei - spiega Giacomo Koch, neurologo e direttore del Laboratorio di Neuropsicofisiologia sperimentale della Fondazione Santa Lucia -. A differenza dell'Alzheimer, la demenza frontotemporale colpisce in maniera selettiva alcune parti del cervello, prevalentemente lobo frontale e temporale, e dal punto di vista clinico i sintomi non interessano la memoria ma il comportamento: i malati cambiano personalità, diventano disinibiti, apatici o irritabili. In alcuni casi presentano deficit del linguaggio molto spiccati, forme di afasia progressiva con perdita della capacità di parlare e, in altri, anche un deficit intellettivo, la demenza semantica che comporta un'erosione di tutte le conoscenze acquisite nel corso della vita".
Recenti evidenze scientifiche mostrano come anche nel caso della demenza frontotemporale la neuroinfiammazione sia coinvolta nel processo neurodegenerativo sin dalle prime fasi della malattia. Da uno studio condotto dalla Fondazione Santa Lucia arrivano dunque risultati incoraggianti. "Recentemente abbiamo eseguito uno studio pilota per indagare la potenziale efficacia e la sicurezza della molecola PeaLut in un campione di quindici pazienti con nuova diagnosi di demenza frontotemporale. Lo studio, presentato ad Oslo - afferma l'esperto - ha mostrato che dopo un mese di trattamento i pazienti riportavano un miglioramento di circa il 15% in una batteria di test che misurava le funzioni cognitive del lobo frontale ed una riduzione del 20% dei disturbi comportamentali. I pazienti sono apparsi meno agitati, più tranquilli, parlano e ragionano meglio. Inoltre sono emersi evidenti cambiamenti dell'attività cerebrale, con un aumento della plasticità cerebrale e un ripristino dei meccanismi di inibizione".
"Lo studio ha dimostrato come la molecola PeaLut sia in grado di controllare il meccanismo neurodegenerativo prevenendo il danno neuronale e potenzialmente ritardando la progressione della patologia. Sulla base di questo studio e per confermare il dato promettente - conclude Koch - abbiamo avviato un trial clinico per avere una casistica più ampia e con un gruppo di controllo".