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Violenza donne, in periferia spesso le vittime stesse non la riconoscono

Violenza donne, in periferia spesso le vittime stesse non la riconoscono

Rapporto WeWorld /Ipsos, in alcuni territori è talmente diffusa da considerarla normale

24 novembre 2018, 15:04

Redazione ANSA

ANSACheck

Una donna triste in strada foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una donna triste in strada foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una donna triste in strada foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

“Mi ha trascinato fuori dalla macchina per picchiarmi. Davanti alle bambine. La grande ha visto sempre tutto. Me l’ha devastata”. Spiega Lucia (nome di fantasia), di Palermo, 35 anni e 2 figlie, una delle testimonianze raccolte nelle interviste qualitative dove, invece, una donna su due racconta di aver subito violenza domestica, spesso di fronte ai propri figli. “Queste due evidenze messe a confronto ci dimostrano ancora una volta la vastità del sommerso rispetto al problema della violenza sulle donne”, dice Marco Chiesara, Presidente di WeWorld Onlus. “Sappiamo, ce lo dice l’OMS, che la violenza sulle donne non è legata a condizioni economiche, status educativo e sociale, ma è altrettanto dimostrato che in alcuni territori, dove emarginazione sociale ed economica coesistono con modelli familiari patriarcali, la violenza è talmente diffusa da non essere nemmeno riconosciuta dalle vittime stesse, soprattutto quando si tratta di forme più sottili di violenza, come quella economica e psicologica. Nel rapporto Voci di donne dalle periferie’ di WeWorld realizzato da Ipsos .- in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre 2018 - emerge che a percepire maggiormente la presenza di una qualche forma di violenza nei confronti dell’altro sesso sono gli uomini: 19% contro il 10% delle donne. Questo dato è parecchio significativo perché nella domanda posta agli intervistati si parla della violenza più prossima, non nel quartiere in generale, ma nel proprio palazzo, o in quello accanto. Il fatto che siano gli uomini a percepire maggiormente la violenza è significativo perché potrebbe essere indice di poca consapevolezza da parte delle donne.

Il rapporto mira a fare luce sulle periferie d’Italia come tema non solo urbano, ma soprattutto sociale e di empowerment delle comunità locali: l’indagine quantitativa realizzata con Ipsos su un campione rappresentativo nazionale, per genere ed età, di 650 cittadini maggiorenni residenti nelle periferie di sei città: Torino, Milano, Roma, Napoli, Cagliari, Palermo (ad esempio nei quartieri di San Salvario, Villapizzone, Centocelle, Scampia, Pirri, Borgo Vecchio) e una qualitativa con interviste in profondità a 37 donne entrate in contatto con WeWorld Onlus nei quartieri di Scampia, San Basilio, Borgo Vecchio e nelle periferie milanesi.

Non solo di violenza domestica o assistita si parla nel rapporto, secondo Ipsos i problemi nazionali sono legati principalmente all’occupazione e l’economia (76%), Istituzioni (37%) e immigrazione (36%). Queste problematiche non trovano un riscontro speculare nelle periferie dove i problemi di quartiere, secondo gli intervistati, sono diversi e legati per il 51% alla mobilità, il 34% all’ambiente, inteso come gestione del verde e spazi pubblici, rifiuti e pulizia delle strade, il 20% all’occupazione ed economia, il 17% alla sicurezza. Un quadro in controtendenza rispetto a quanto traspare nei discorsi pubblici e nell’agenda politica nazionale, dove le priorità delle periferie sembrano essere sicurezza e immigrazione.

Dal punto di vista del lavoro, l’indagine fotografa una situazione critica, soprattutto per le donne. Rispetto alla media nazionale del 49,7%, già grave considerando che l’Italia è penultima in Europa per l’occupazione femminile, nelle periferie lavora solo il 42% delle donne. Dato che scende al 32% per le intervistate delle qualitative, nelle periferie più disagiate. La fascia maggiormente esposta ad una condizione di non soddisfazione per la propria condizione è quella delle giovani 18-34 anni (44%) e delle donne residenti al sud (44%) dove, con tutta probabilità, la «scelta» di essere casalinga cela un certo grado di frustrazione e preoccupazione dovuta al non riuscire a trovare lavoro.

Nelle parole delle intervistate, i motivi per cui non lavorano o hanno smesso di lavorare sono prevalentemente due: la difficoltà di trovare un’occupazione continuativa e non precaria e quella di conciliare la cura dei figli con una professione. Tra coloro che vorrebbero lavorare, gli ostacoli prevalenti riguardano la gestione dei figli: molte donne esprimono il desiderio di voler trovare un impiego, ma mostrano un certo scetticismo nella possibilità di riuscire a conciliarlo con la cura della famiglia.

 La mancanza di libertà è un elemento comune in quasi tutti i racconti: “ero praticamente barricata in casa”; “dentro casa mi metto il vestitino. In casa sì, con le finestre chiuse però. Fuori mai. A lui non piace”, “Mi torceva il braccio se io decidevo di comprare per pochi spicci una stoffa per fare un copriletto”, sono alcune delle testimonianze raccolte che sottolineano un’assenza di libertà data dalla scarsa intraprendenza delle donne, da una poca conoscenza del territorio al di là del proprio vicinato e dal pressante controllo esercitato dai mariti e dalle famiglie.

 “Il lavoro di empowerment fatto con le donne delle periferie dei nostri centri - prosegue Marco Chiesara - ha portato come primo risultato una maggior consapevolezza e il riconoscimento della violenza subita, insieme alla voglia di chiedere aiuto e fuoriuscire dalla propria condizione”. Gli Spazi Donna che WeWorld Onlus ha attivato nelle periferie rappresentano contesti di vitalità dove poter ritrovare una socialità altrove assente. “I nostri spazi - continua Chiesara - rappresentano contesti dove le donne possono fuoriuscire da uno stereotipo che le vede relegate al ruolo di madri e mogli per riscoprire l’esigenza di sentirsi anche, e soprattutto donne, con una dignità e un diritto a essere rispettate, contro qualsiasi atteggiamento sessista”.

 

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