"L'imputato ha dimostrato
una volontà di perseverare nell'obiettivo programmato, ossia
quello di punire la moglie per la fine della loro relazione, per
la detenzione successiva alla denuncia sporta, nonché per
l'intento di proseguire nell'azione legale, finalizzata alla
separazione e all'affido esclusivo del figlio minore, e
un'assenza di qualsivoglia ripensamento critico dei propri
atteggiamenti". Sono le motivazioni della sentenza d'appello per
il tentato omicidio di Maria Antonietta Rositani che, attraverso
il suo avvocato Alessandro Elia, si è costituita parte civile
nel processo contro l'ex marito Ciro Russo. Quest'ultimo, il 13
marzo 2019, era evaso dai domiciliari che stava scontando a casa
dei genitori a Ercolano (Napoli) per recarsi a Reggio Calabria
per cercare di uccidere la ex moglie Maria Antonietta Rositani.
Speronò la sua auto, le versò benzina addosso e le diede fuoco.
Antonietta Rositani si salvò solo grazie alla sua forza d'animo
ed alla sua voglia di vivere. Uscì dal mezzo avvolta dalle
fiamme e si gettò in una pozzanghera. La donna riportò
gravissime ustioni che le ricoprivano il 50% del corpo ed è
uscita dal Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria solo
dopo 20 mesi e dopo avere subito decine di interventi
chirurgici.
Lo scorso maggio la Corte d'Appello ha confermato la sentenza di
primo grado e ha condannato a 18 anni e 8 mesi di carcere Ciro
Russo perché "ha volutamente perseguito con certezza la condotta
volta a uccidere la propria ex moglie, cosa non occorsa solo a
cagione della disperata prontezza della Rositani che, come ogni
madre, 'ha deciso di vivere per i propri figli'".
Nelle motivazioni della sentenza, depositate nelle scorse
settimane, i giudici della Corte d'Appello hanno escluso che
Russo fosse "incapace di intendere e di volere" e hanno
sottolineato, piuttosto, che l'azione delittuosa era stata
"meditata da lungo tempo, programmata nelle sue varie fasi e
articolata con mezzi adeguati e del tutto idonei alla riuscita
dell'efferato gesto".
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